"Malgrado le acute ed articolate considerazioni contenute nel parere pro veritate reso da un celebre psichiatra volte a comprovare l'inadeguatezza della riduzione degli orari di apertura degli esercizi, ai fini del contrasto alla ludopatia, la giurisprudenza oramai unanime è tuttavia assestata nel ritenere che un'illimitata o incontrollata possibilità di accesso al gioco, accresce oggettivamente il rischio di diffusione di fenomeni di dipendenza (…), risultando pertanto la misura adottata idonea allo scopo perseguito, consistente nella prevenzione, nel contrasto, e nella riduzione del gioco d’azzardo patologico". Per questo e altri motivi ancora i giudici del Tar Lombardia hanno respinto il ricorso di un operatore contro il regolamento sui punti di gioco del Comune di Milano con il quale vengono introdotte restrizioni agli apparecchi da intrattenimento (orari). Inoltre "Non ha alcun rilievo il richiamo all'Intesa raggiunta in sede di Conferenza Unificata del 7.9.2017, poiché detto atto è in realtà successivo all'emanazione dei provvedimenti impugnati, che non potrebbero pertanto essere annullati, in quanto contrastanti con il medesimo".
Il regolamento in questione è del 2014.
Una sentenza che non lascia appigli.
In particolare, osserva il Collegio che "l'idoneità dell'atto impugnato a realizzare l'obiettivo perseguito deve essere valutata tenendo presente che la sua finalità non è quella di eliminare ogni forma di dipendenza patologica, che a ben vedere, può trovare origine in altri giochi leciti, come il lotto, il superenalotto, i giochi on line, ecc. (…), ma solo quello di prevenire, contrastare e ridurre il rischio di dipendenza patologica derivante dalla frequentazione di sale da gioco o scommessa, e dall'utilizzo di apparecchiature per il gioco". Inoltre "(…) la giurisprudenza ritiene che nell’attuale momento storico la diffusione del fenomeno della ludopatia in ampie fasce della società civile costituisce un fatto notorio, o comunque, una nozione di fatto di comune esperienza, come attestano le numerose iniziative di contrasto assunte dalle autorità pubbliche a livello europeo, nazionale e regionale".
In conclusione "l'Amministrazione resistente non aveva dunque nessun obbligo di confrontarsi preventivamente con le associazioni di categoria degli operatori del settore, né tantomeno con i singoli soggetti interessati, quale la ricorrente".